"Che cosa significa oggi essere comunisti?" si chiedeva nel 1989, anno della caduta del Muro di Berlino, Nanni Moretti in Palombella rossa. Dopo il tramonto delle ideologie e la nascita del Pd, la forza politica in cui sono confluite le due anime del riformismo italiano, quella socialdemocratica e quella democraticocristiana, per il centrosinistra all'affannosa e sofferta ricerca di un'identità è venuto il momento di aggiornare e rilanciare quella vecchia domanda: "Che cosa significa oggi essere democratici?". Ad assumersi il compito di formularla con la stessa chiarezza e lo stesso coraggio è oggi Ivan Scalfarotto, vicepresidente del Pd, che ha girato questo e molti altri interrogativi sui temi all'ordine del giorno del dibattito pubblico (l'articolo 18 e la travagliatissima riforma del lavoro, il ruolo dei giovani e il ricambio delle classi dirigenti nelle istituzioni e nei partiti, Pd compreso) a 17 esponenti del suo partito, da lui intervistati in questi mesi cruciali per il futuro della società italiana e dell'intera Europa. Ad amici e colleghi - dagli eredi delle grandi tradizioni politiche del Novecento come Massimo D'Alema, Pierluigi Bersani, Walter Veltroni e Rosy Bindi, ai "giovani" emergenti come Pippo Civati, Debora Serracchiani e Stefano Fassina, ad amministratori locali come Michele Emiliano, Renato Soru e Stefano Boeri - Scalfarotto non risparmia i quesiti spiazzanti e intenzionalmente provocatori, come quelli sulle unioni civili, sui diritti degli omosessuali e sui temi etici, che mettono il dito nella piaga di contraddizioni e contrapposizioni interne talvolta laceranti. E poi, a tutti, la domanda delle domande: perché il Partito democratico è spesso visto dagli elettori e dai media come una formazione politica sostanzialmente conservatrice, che si batte testardamente per il mantenimento dello status quo in campo economico e sociale, anziché essere considerato quella grande forza progressista, promotrice di riforma e cambiamento, che si propone di incarnare? Da queste conversazioni emerge il ritratto di un Pd molto variegato, con diverse anime, da quella ex comunista a quella liberal, da quella laica a quella di ispirazione cattolica. Una frammentarietà di visioni e posizioni che - sostiene l'autore - può rivelarsi la sua più grave debolezza, se si elideranno a vicenda in una perversa dialettica del compromesso a ogni costo, in un'inerzia dettata dalla volontà di non scontentare nessuno. O, viceversa, la sua più grande forza, se tali anime riusciranno a fondersi in una sintesi costruttiva, capace di imprimere al partito "uno shock di innovazione, un momento di fortissima, visibile e tangibile discontinuità".