«Secondo il pensare comune, la donna avrebbe un istinto materno innato. Perciò, se una madre uccide il proprio figlio, allora la causa sarebbe di natura psichiatrica o psicopatologica».
Un comportamento per noi paradossale, spiegato attraverso un’accurata analisi scientifica.
Assassinio o atto rituale? Cosa porta una madre a uccidere il proprio figlio?
Per il comune sentire greco Medea era la straniera, e in questo era insita la giustificazione al suo abominevole gesto. E oggi? Come è vista una donna che commette un simile atto?
È quanto cerca di spiegare Alessandro Meluzzi in questo libro, tracciando un profilo antropologico e sociologico delle madri assassine, ripercorrendone la storia dal mito antico ai più recenti fatti di cronaca e offrendoci una digressione sul significato della criminologia in chiave attuale.
«Il figlicidio è un evento culturalmente inaccettabile e destabilizzante. Ecco perché è necessario per l’opinione pubblica trovare delle attenuanti, che rintraccia nel raptus o nella malattia mentale: la psicosi è confortante. Tuttavia, una minima parte delle donne figlicide è realmente affetta da una patologia psichiatrica. In realtà, solo un terzo dei casi di madri assassine può avvalersi dell’attenuante della malattia mentale o di un disturbo psicopatologico. I due terzi sono per lo più madri affette da disturbi di personalità che impediscono di assumere un ruolo materno consapevole e responsabile di fronte a situazioni di vita stressanti».
Alessandro Meluzzi è laureato in medicina e chirurgia e specializzato in psichiatria. Psichiatra, psicologo clinico e psicoterapeuta, direttore scientifico della Scuola Superiore di Umanizzazione della Medicina, è autore di oltre duecento pubblicazioni scientifiche e di dieci monografie di psicologia, psicoterapia, psichiatria e antropologia filosofica. È spesso ospite e opinionista in diversi programmi televisivi. Con Imprimatur ha pubblicato Il fascino del male (2014) e Bullismo e cyberbullismo (2014).