Il volume affronta una delle tematiche più delicate in materia di rapporti tra attività medica e diritto penale, secondo la particolare angolazione della c.d. medicina difensiva. Tale atteggiamento della classe medica evidentemente trova la sua origine in una giurisprudenza che, dopo un’iniziale larghezza di vedute, progressivamente è diventata sempre più severa nei confronti del trattamento medico-chirurgico sino addirittura a sconfinare dal tradizionale settore dei reati colposi fino alla preterintenzione e talvolta al c.d. dolo eventuale. Da qui indubbiamente lo svilupparsi di un atteggiamento difensivistico da parte della classe medica che, anziché rischiare un procedimento penale dagli incerti esiti e dalle conseguenze assai perniciose, ha preferito astenersi dall’intervenire. Va di contro rilevato come più di recente la giurisprudenza, segnatamente con la sentenza della Cassazione a Sezioni Unite, ricorrente Giulini, ha cercato di costruire un più equilibrato rapporto tra istanze punitive e istanze garantistiche, ritenendo non integrante il fatto tipico del delitto di lesioni da parte del medico in particolare se l’esito dell’operazione è risultato favorevole anche se privo del consenso del paziente. Per evitare il perpetuarsi di questa situazione invero oscillante e per certi versi perniciosa per la classe medica, il c.d. governo tecnico a guida del Sen. Monti ha varato, attraverso l’allora Ministro della salute, il c.d. decreto Balduzzi, che ha reso penalmente rilevante l’operato del medico solo nell’ipotesi di colpa grave e a condizione che siano state osservate le linee guida e le buone pratiche cliniche. Questo decreto contiene tuttavia luci ed ombre di non poco momento tanto è vero che ha suscitato già un rinvio alla Corte costituzionale, poi respinto dalla stessa, ed un’oscillazione da parte della giurisprudenza della Suprema Corte, che a questo punto potrebbe meritare l’intervento delle Sezioni Unite penali.