Durante una conferenza sulle proprie scoperte naturalistiche al prestigioso Institut di Parigi, Stephen Maturin viene a sapere che un eminente catalano, inviato dai servizi segreti inglesi nel mar Baltico, è morto nel naufragio della nave che lo stava portando a destinazione. Suo compito era di raggiungere le truppe catalane che occupavano un’isola per conto dei francesi (sperando che Napoleone avrebbe aiutato il loro Paese a riconquistare l’indipendenza) e convincerle a cedere l’avamposto agli inglesi. Stephen, che parla perfettamente il catalano e vanta impeccabili credenziali politiche, sa che tocca a lui portare a termine quella missione. Tornato a Londra, propone l’impresa al fidato Jack Aubrey (che è ben felice di accompagnarlo, se non altro per sfuggire alle insidie della terraferma, materializzatesi sotto le suadenti forme di una giovane con cui ha avuto una breve ma tormentata avventura). I due riescono nell’intento, ma mentre stanno tornando in patria, durante una terribile burrasca, dopo un epico scontro con un vascello francese, la loro goletta naufraga sulle coste della Bretagna e tutto l’equipaggio viene catturato. Stephen e Jack vengono portati a Parigi e rinchiusi nella tetra prigione del Tempio, in attesa di essere interrogati. E tutto sembra volgere al peggio quando un rivale in amore di Stephen accusa quest'ultimo di essere una spia inglese. Sembra finita, ma Patrick O’Brian, da vero maestro qual è, ha in serbo per il lettore un epilogo che nasconde più di una sorpresa, in un romanzo che unisce al consueto humour – ma con sempre nuove sfumature – una straordinaria tensione narrativa, per una vicenda in cui le sottili trame della diplomazia (e dell’amore) sono quasi infinite e hanno un peso determinante, non inferiore a quello di una capacità immaginativa – pur nella fedeltà ai dati della Storia – che non finisce di stupire.