È diventato così vorticoso il calcio dei nostri giorni, in cui appuntamenti ed emozioni, polemiche e prodezze si accavallano all'infinito, da indurci sempre più spesso alla riscoperta di un tempo in cui tutto aveva una scansione più umana, più congeniale a una passione da assaporare anziché da trangugiare. Cresce anche tra i giovani la curiosità per la memoria, la domanda di personaggi che hanno segnato altre epoche. Come quell'autentico fuoriclasse di umanità che fu paròn Rocco. Nel centenario della nascita, Gigi Garanzini, che lo conobbe e lo frequentò quando era ormai sul viale del tramonto, ritorna sulle tracce dell'inimitabile allenatore triestino. Un «viaggio nella memoria», come lo definisce l'autore, che copre tutte le tappe della carriera e le diverse città che lo hanno visto protagonista: dalla sua Trieste, che amava di un amore non poi del tutto ricambiato, a dispetto di un leggendario secondo posto alle spalle del Grande Torino (mi a Milàn son el comendatòr Nereo Rocco. A Trieste son quel mona de bechér), a Padova, dove inserì stabilmente la sua ciurma di «manzi» ai vertici del calcio nazionale; dalla Milano rossonera dei grandi trionfi euromondiali alle più sofferte esperienze nella Torino granata e a Firenze. Un percorso in cui un pizzico di commozione ruba di tanto in tanto la scena all'allegria di fondo, al ricordo di tanti episodi divertenti e curiosi, segnati da quelle battute fulminanti che il paròn dispensava a piene mani, dentro e fuori lo spogliatoio. Con quel suo irresistibile slang triestino che allora, non certamente oggi, non era particolarmente indicato ai minori. A rievocare la figura di Rocco, si succedono le testimonianze di molti personaggi noti - da Rivera ad altri grandi campioni, ai suoi «figli» calcistici Bearzot, Trapattoni e Cesare Maldini - e meno noti. Una rivisitazione appassionata, ma mai agiografica, che celebra le qualità del tecnico senza tacerne qualche limite o gli episodi meno convincenti (per esempio, l'ingeneroso abbandono di Lodetti dopo anni di onorata carriera al Milan). Emergono, soprattutto, le grandi doti umane del paròn, impareggiabile nel creare lo spirito di squadra, con la sua straripante e istrionica personalità, con la sua capacità unica di dosare severità e complicità. Lo spogliatoio come una famiglia. Un caposaldo, questo, cui rimase fedele in una squadra de poareti come nel Milan delle grandi stelle. Senza però che le qualità umane facessero ombra alla sua competenza tecnica, spesso disconosciuta da «certi imbonitori di oggi», come li definisce l'autore, che pretendono «d'aver inventato il calcio». Per tutti gli innamorati del pallone, al di là delle bandiere d'appartenenza, scoprire (o riscoprire) quest'autentica commedia umana equivale a disertare il fast food di tutti i giorni per ritrovare l'atmosfera e la genuinità di certe osterie, ultimi avamposti di resistenza alimentare, umana e pallonara. Che erano già allora i rifugi più sicuri del paròn.