Giovanni Trapattoni da Cusano Milanino è l’allenatore più vincente della storia del calcio italiano. Ma lui, per tutti il Trap, Giuanin per il suo maestro Nereo Rocco, non è tipo da grancassa e alle parole ha sempre preferito la concretezza del fare. Fin da quando, ragazzino, per non dare un dispiacere al padre che vedeva il calcio con il fumo negli occhi (“Sudi e ti prendi la tubercolosi!”), finiti gli allenamenti con il Milan andava a lavorare in cartotecnica. Dopo sedici anni da giocatore in rossonero conditi con due Scudetti, due Coppe Campioni e una Intercontinentale, da allenatore ha reso grande la Juventus in un decennio d’oro, ha guidato l’Inter allo Scudetto dei record, ha vinto il titolo tedesco con il Bayern Monaco in tempi in cui andare ad allenare all’estero era cosa da pionieri, ripetendosi poi anche in Portogallo e in Austria. Ed è facile immaginare che avrebbe vinto qualcosa anche in Nazionale, se non fosse stato defraudato di un Mondiale (complice l’indimenticabile arbitro Moreno) e di un Europeo (con l’indigesto biscotto di Svezia- Danimarca). Ma soprattutto, il Trap si è fatto amare ovunque per il suo entusiasmo e la dialettica inimitabile, sempre accompagnato da questa frase-mantra, “Non dire gatto (se non ce l’hai nel sacco)”: un inno spiccio alla prudenza, un amuleto, un modo semplice e immediato per ricordare con orgoglio le proprie origini popolari. Nella sua autobiografia, scritta con il grande amico Bruno Longhi e impreziosita da due inserti ricchi di foto inedite e memorabilia, Giovanni Trapattoni ripercorre quasi sessant’anni di calcio e di storia italiana, ci svela tanti retroscena – il 17 come numero fortunato, il rito dell’acqua santa, i colloqui più divertenti con campioni del calibro di Platini, Matthäus, fino all’esplosivo Edmundo –, ci racconta come la passione di una vita possa essere vissuta con innata leggerezza, eleganza e straordinaria autoironia.