“Amo la scienza del pugilato: la strategia di attaccare e indietreggiare allo stesso tempo. La boxe significa uguaglianza. Sul ring il colore, l’età e la ricchezza non contano nulla.” Parola di Nelson Mandela.
Tutti ad armi pari sul quadrato.
Poi si scende giù e si combatte il match più difficile, quello con la vita. Campioni e pugili poco noti. Incredibili avventure.
Come quella di Angel Robinson Garcia, il vagabondo del sesso. Fuggito da Cuba, ha boxato ovunque. Sarebbe stato un grande, se solo fosse riuscito a chiudere almeno una giornata senza fare l’amore. Il dramma a lieto fine di Giacobbe Fragomeni, re del mondo dopo avere sfiorato il suicidio. La tragedia del peso piuma Iwao Hakamada. Condannato per un crimine che non aveva commesso, libero dopo 45 anni nel braccio della morte. Il misterioso caso di Rubin Hurricane Carter che ha lottato tutta la vita per difendersi da un’accusa di triplice omicidio. Dylan gli ha dedicato una canzone. Il racconto di Ashtabula, la città dei Tomato Can. Perdenti di professione che sotto i pugni esplodono riempiendo di rosso sangue avversari e spettatori. Come una scatola
di pomodori, appunto. Loris Stecca, Angelo Dundee, Bundu, Rodolfo Sabbatini, Parisi, Zoff, Kalambay, Tiberio Mitri e tanti altri ancora.
“Un vincitore è semplicemente un sognatore che non si è mai arreso” diceva Mandela.
Molti hanno imparato la lezione, altri l’hanno ignorata.
La boxe è nobile, gli uomini non sempre lo sono.