La storia millenaria, e in gran parte consegnata alla leggenda, della Via della Seta continua ad affascinare segretamente la modernità.
In un viaggio tra misticismo, conflittualità, mistero, Colin Thubron ripercorre le strade che per secoli hanno dato vita a una «globalizzazione», arcaica quanto febbrile, di cui la seta divenne il simbolo. Il confronto con l’attualità suggerisce che neppure le devastazioni più feroci – dalle orde di Tamerlano al flagello della SARS – possono cancellare simili legami ancestrali. La Cina moderna, lo smarrimento delle repubbliche ex URSS, l’Afghanistan dilaniato da decenni di conflitti, le contraddizioni dell’Islam: tutto questo rivive nel racconto di Thubron, in una ricerca minuziosa fra le rovine di epoche lontane che riemergono nei resti di un minareto nel deserto, nelle iscrizioni intraducibili di un tempio perduto, nei tratti somatici delle persone incontrate. La Via della Seta finisce per assumere su di sé il significato più oscuro – pauroso quanto attraente – del viaggio stesso: la sensazione di partire e, come il fantasma del mercante sogdiano che si annida fra le pagine del racconto, di smarrirsi nel deserto. «È tempo di tornare. E non possiamo… A volte il vento di notte cambia le dune, e al mattino non sai più dove sei…»