Diventare grandi quando si viene da una piccola città è un peccato di quelli che non si perdonano facilmente. Lungo più di vent’anni di carriera, senza inciampare in scioglimenti o grandi cambi di formazione, i Pearl Jam si sono guadagnati l’etichetta di “U2 del grunge”: definizione non priva di malizia, specie se usata da chi nel cosiddetto “grunge” aveva visto l’ultima grande rivoluzione “dal basso” nella storia del rock. Una scena giovane e dal forte senso etico, che mai avrebbe dovuto sporcarsi le mani con le grandi arene e i grandi incassi. E invece… Pearl Jam. Still Alive ripercorre la vera storia del quintetto americano, dalle origini nei primi anni Novanta al trionfale ritorno del recentissimo album LIGHTING BOLT, attraverso i testi di Eddie Vedder, che del gruppo è da sempre voce e primo autore. Nelle sue parole ritroviamo la rabbia e i dolori della giovinezza, le ansie per un successo arrivato in fretta, prima rifuggito e poi finalmente accettato alle proprie condizioni; le tentazioni eremitiche contro la vocazione politica di chi si ritrova, suo malgrado, a fare da megafono a un’intera generazione. Infine, la sindrome del sopravvissuto: più che i Santoni del grunge, i Pearl Jam sono “quelli che non sono morti”, che hanno proseguito sulla stessa strada, lasciandosi alle spalle i compagni di strada tragicamente caduti (Kurt Cobain, il leader dei Nirvana morto suicida nel 1994, è solo uno dei fantasmi che abitano il canzoniere vedderiano). Quel che esce da un percorso tanto sofferto e tanto coerente è una straordinaria raccolta di riflessioni sulla morte, inni alla vita e dichiarazioni d’indipendenza che è in grado di spiegare meglio di ogni definizione perché quei cinque da Seattle fossero destinati a diventare “grandi”.