Fin dai suoi esordi, l’attività artistica di Luchino Visconti, sia al cinema che a teatro, si svolge all’insegna dello scandalo, tra polemiche, censure e sequestri. È la conseguenza di un quadro sociale reazionario, ma è altresì il risultato di una precisa ricerca, di un’intenzione trasgressiva sistematicamente ribadita che trova nella rappresentazione di una sessualità eterodossa il suo strumento privilegiato di espressione. Affiancando l’analisi delle opere, lo studio di un’ampia documentazione inedita reperita in numerosi archivi (a cominciare dal Fondo che conserva le carte del regista), e lo studio della ricezione, questa ricerca lega il lavoro di Visconti al contesto culturale che lo circonda, riportandone in superficie una componente essenziale – ma sempre sottovalutata – mediante la messa a fuoco di tre momenti che conducono a elaborazioni particolarmente trasgressive. Il primo coincide con gli esordi e comprende il lungo apprendistato degli anni ’30, Ossessione (1943) e i primi allestimenti di prosa dell’immediato dopoguerra. Il secondo è legato a un prolungato interesse per l’opera di Tennessee Williams, particolarmente nei primi anni Cinquanta, e segna profondamente Senso (1954). Il terzo si configura tra la fine del decennio e l’inizio di quello seguente e trova un nuovo complice in Giovanni Testori: ne derivano Rocco e i suoi fratelli (1960) e L’Arialda (1961), oltre ad alcune provocazioni satellitari.