100 pagine fulminanti sull'orrore di diventare vecchi.
Una spietata analisi, senza infingimenti, senza auto illusioni, senza autoinganni sulla vecchiaia, al di là delle ipocrisie e della retorica con cui oggi cerchiamo di abbellire e edulcorare quella che chiamiamo eufemisticamente «la terza età» rendendola così, se possibile, ancor più crudele e beffarda. E, insieme, in un gioco di rimbalzi, un appassionato inno alla giovinezza, «quella irripetibile età in cui ci chiamavano ragazzi». Animato da ricordi e esperienze personali, nelle quali il lettore non farà fatica a riconoscersi perché Fini riesce a dare ai fatti che rievoca, ora con tenerezza, ora con ironia ora con sarcasmo, a volte con lucida ferocia, significati e valenze universali, è anche una sorta di singolare autobiografia giocata solo sul filo del rapporto giovinezza/vecchiaia, sul cui sfondo domina, enigmatico e incontrastabile, il vero protagonista del libro: il Tempo.