È una splendida giornata di maggio del 1915, una di quelle rare giornate di brezza lieve, mare calmo e bel sole, quando il Lusitania, il piú grande transatlantico dell’epoca, un «levriero» capace di sostenere una velocità di oltre venticinque nodi, inferiore soltanto a quella dei cacciatorpediniere della marina britannica, naviga al largo delle coste meridionali irlandesi.
La nave, diretta a Liverpool, è salpata da New York a carico pieno, con duemila «anime» a bordo, incluso un numero inaspettato di bambini, e merci, bagagli e vettovaglie varie: una vera e propria città galleggiante d’acciaio, inconfondibile coi suoi quattro fumaioli, e invulnerabile grazie alla sua straordinaria velocità.
Le acque del mare d’Irlanda sono state dichiarate «zona di guerra» dalla Germania, ma a bordo del Lusitania i passeggeri e il comandante William Thomas Turner si curano poco della dichiarazione e dell’avviso, pubblicato sui giornali newyorchesi dall’ambasciata tedesca a Washington, in cui si rammenta agli equipaggi che le navi dirette in quelle acque, battenti bandiera britannica o di uno qualsiasi dei paesi suoi alleati, sono «passibili di affondamento». Troppo veloce il Lusitania per qualsiasi sommergibile o imbarcazione militare tedesca. E troppo rassicurante la promessa protezione della Royal Navy britannica.
Con la sirena da nebbia ormai spenta e il sole alto e splendente, i passeggeri del Lusitania, vestiti con piú cura ed eleganza del solito in quell’ultima giornata di navigazione, sciamano cosí tranquillamente sui ponti. I ragazzini piú grandi saltano la corda, come sempre. I piú piccoli si aggirano con bambinaie e steward, a piedi o in carrozzina, con i ciucciotti al collo o appesi ai vestitini.
Sono circa le due e dieci quando, a sedici ore di navigazione da Liverpool, Leslie “Gertie” Morton, marinaio di diciotto anni, prossimo a ottenere il brevetto da secondo ufficiale, scorge a dritta sull’acqua un grosso spruzzo di spuma, una specie di gigantesca bolla che erutta in superficie. Qualche istante dopo lo spruzzo diventa una scia che rimane a galla, come un lunga cicatrice pallida. In gergo marinaresco quella traccia di turbolenza lenta a svanire ha un solo nome: «scia di morte».
Di lí a poco, echeggia sulla nave, chiaro, il grido: «Siluro in arrivo!».
Sepolta sotto i dettagli ingarbugliati dell’affondamento di uno dei piú grandi transatlantici dell’epoca, Erik
Larson scopre «una gran bella storia» e la narra con ritmo romanzesco, basandosi però rigorosamente su
memorie, lettere, telegrammi e altri documenti storici. Ne emerge la saga di una nave e delle «molteplici
forze, titaniche o pateticamente insignificanti, che in una bella giornata di maggio del 1915 sono
confluite a produrre una tragedia di portata colossale, la cui vera natura e il cui significato sono rimasti
a lungo celati tra le nebbie della storia».
«Con Scia di morte, Erik Larson realizza la sua prova piú matura e appassionante…
Racconta l’affondamento del Lusitania e il conseguente ingresso degli Stati Uniti
nella prima guerra mondiale».
Antonio Monda, la Repubblica
«Un libro avvincente su un grande evento».
New York Times Book Review