Prendendo le mosse dal mito e dal materiale epico, Sofocle crea nell'Aiace il primo dei suoi eroi solitari, imponenti e inflessibili, che rimangono fedeli fino alla fine alle proprie idee e alla propria concezione della vita: in questo caso ai principi della "cultura di vergogna", al senso dell'onore, alla morale pubblica e competitiva della civiltà arcaica. Quando, dopo la crisi di follia, l'eroe torna in sé, comprende che non c'è più spazio per lui fra gli uomini, neppure fra i pochi che lo amano. La scelta dell'autoemarginazione e del suicidio è l'unica possibile per l'ultimo degli eroi "puri". La sua lontananza da tutto e da tutti è incolmabile, la frattura fra Aiace e il mondo è ormai insanabile: egli non cede ai compromessi, non ammette conciliazione con il nemico. Gli altri personaggi, più moderni, più attuali, sanno piegarsi di fronte agli eventi o mediare con l'avversario (gli Atridi che rappresentano la tracotanza un po' ottusa della democrazia radicale; Odisseo, il politico pronto alla flessibilità, al compromesso): per Aiace non c'è più posto in una società di questo tipo; diversità, rigidità di principi, isolamento sono le categorie che caratterizzano l'eroe, un uomo d'altri tempi. E anche quando il percorso terreno dell'eroe è compiuto, nel dibattito relativo alla sua sepoltura, Aiace rimane, pur in "absentia", il protagonista assoluto del dramma.