"Mi sono messo, da storico quale sono, sulle tracce dei nonni che non ho avuto. La loro vita finisce ben prima che cominci la mia: Matès e Idesa Jablonka sono miei parenti e al contempo sono perfetti estranei. Non sono famosi. Sono stati travolti dalle tragedie del XX secolo: lo stalinismo, la Seconda guerra mondiale, la distruzione dell'ebraismo europeo." Ivan Jablonka è uno studioso francese. Nipote di Matès Jablonka e Idesa Feder, non ha mai conosciuto i suoi nonni, assassinati ad Auschwitz. La famiglia ha origini polacche, più precisamente nel borgo di Parczew, non lontano da Lublino. È qui che Matès, "rivoluzionario di professione", muove i primi passi come attivista nel Partito comunista e per questo finisce più volte in carcere. Nella lotta conosce Idesa, la più bella ragazza dello shtetl, anche lei iscritta al partito; si innamorano, si sposano e cercano riparo a Parigi come rifugiati politici, sul finire degli anni Trenta. Ma sarà proprio a Parigi che verranno arrestati, questa volta dalla polizia francese, perché ebrei, e in seguito deportati. La mattina dell'arresto, il 25 febbraio 1943, riescono a mettere in salvo i due figli, Marcel, papà di Ivan, e Suzanne, ai quali lasciano poche righe prima della partenza verso il lager: "Vi scriviamo questa cartolina come un addio in modo che abbiate un ricordo di noi, perché tra un quarto d'ora partiremo per la Germania. I nostri cuori sono spezzati per essere stati costretti ad abbandonarvi in così tenera età". Sulla base delle testimonianze dei parenti sopravvissuti e degli amici di famiglia, e supportato dagli strumenti dello storico, l'autore ricostruisce passo passo la breve esistenza di Matès e Idesa, attraverso archivi pubblici, lettere, foto, racconti di amici e vicini di casa. E grazie anche al prezioso Yizkor-Bukh di Parczew, il "libro della memoria", pubblicato dai sopravvissuti della Seconda guerra mondiale: un volume di storia locale in ebraico e yiddish destinato a far rivivere lo shtetl scomparso. "Credo di essere diventato uno storico per poter fare un giorno una scoperta come questa. La differenza tra le nostre storie familiari e quella che si vorrebbe chiamare la Storia, con la sua pomposa lettera maiuscola, non ha alcun senso. Non ci sono, da una parte, i grandi della terra, con i loro scettri o i loro interventi televisivi e, dall'altra, la risacca della vita quotidiana, le collere e le speranze senza un domani, le lacrime anonime, gli sconosciuti il cui nome arrugginisce sulla base di un monumento ai caduti o in qualche cimitero di campagna. Fare storia equivale a prestare ascolto alle palpitazioni del silenzio."