Un paese unito nella volontà di erigere un monumento ma che poi si divide al momento di decidere a chi dedicarlo. Un altro che pur patendo la sete non riesce a trovare un accordo su dove posizionare la fonte pubblica (e quindi continua a patirla). Sedicenti esperti cacciatori che dai lasciti corporali rinvenuti nel bosco profetizzano senza ombra di incertezza l’origine dell’animale che li ha fatti. Moribondi che non si decidono ad andarsene perché si compiacciono nell’ascoltare la banda cittadina. Ma anche medici dai metodi sbrigativi, debitori incalliti, signorotti dall’ospitalità esagerata, ciarlatani tuttofare, professori d’orchestra che non sanno suonare e altro ancora.
C’è un po’ di tutto nell’Italia rurale che ci descrive l’autore, un’Italia e un mondo che non ci sono più ma che tuttavia ci sono molto vicini e in fondo ci appartengono, perché luogo della memoria e specchio senza veli del nostro essere di oggi.
Una raccolta dei più bei racconti di Renato Fucini per scoprire col sorriso sulle labbra com’eravamo ma anche come siamo.
L’autore. Scrittore toscano noto anche con lo pseudonimo di Neri Tanfucio, anagramma in puro stile goliardico del proprio nome e cognome, tra fine ’800 e i primi del ’900 l’Italia fu “allagata” dalle poesie e dalle novelle di Renato Fucini che, nate quasi per caso, ebbero un grandissimo successo. Il segreto: uno straordinario spirito d’osservazione in grado di cogliere nel quotidiano la sua naturale vis comica e una scrittura apparentemente semplice e informale, tesa a instaurare un clima conviviale e a riproporre il gusto del conversare alla buona tra amici e del raccontare a braccio. Scrisse di lui Edmondo De Amicis: «L’apparizione di questi sonetti a Firenze fu come lo scoppio di un fuoco d’artifizio. I primi giraron manoscritti ed eran tutti faceti; i seri vennero dopo. Qualcuno li leggeva nelle conversazioni, a mezza voce, in un canto, e la lettura era interrotta ogni momento da uno scroscio di risa... Sulle prime i suoi colleghi trovarono ridicolo che lui, ingegnere, fosse poeta. Tutt’a un tratto si invertirono le parti, e i Fiorentini risero. Perché lui, poeta, faceva l’ingegnere. In meno di tre mesi il nome di Fucini fu popolare».