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Sulla mia pelle: Il caso Divania – Unicredit

La sconcertante storia
del più grave scandalo italiano
di malafinanza creativa, con i documenti
e le responsabilità che i poteri forti
vogliono coprire.

casodivaniaunicredit@libero.it

Un’azienda del Sud, sana e in crescita, viene dichiarata fallita nel 2011: il più grande stabilimento della zona industriale di Bari diventa preda dei vandali e più di quattrocento dipendenti perdono il lavoro. I salotti della Divania non attraverseranno più l’oceano per arrivare nelle case degli americani. La causa della rovina di Divania per gli inquirenti è da ricercare tra gli algoritmi della finanza e nei prodotti derivati che avrebbero dovuto mettere al riparo la società dai rischi di cambio e invece l’hanno esposta a perdite di milioni di euro.
Secondo la guardia di finanza Unicredit ha espropriato il legale rappresentante della conduzione finanziaria e si è impadronita della gestione della liquidità della società distruggendone l’attività produttiva. Il fatturato di Divania è crollato da 70 milioni di euro a zero e la società, priva di ricavi, non ha più potuto far fronte alle obbligazioni assunte ed è quindi fallita.
Un default per il quale a vario titolo sono imputati dei reati di bancarotta fraudolenta ed estorsione aggravata gli amministratori delegati di Unicredit Alessandro Profumo e Federico Ghizzoni insieme ai più alti dirigenti della banca all’epoca dei fatti.
Tutto questo sulla pelle del presidente di Divania, Francesco Saverio Parisi, e dei suoi dipendenti.

Francesco Saverio Parisi, sessantadue anni, a un passo dalla laurea abbandona gli studi in Giurisprudenza per mettersi in proprio e creare subito qualcosa di suo. Inizia l’avventura come rappresentante di pelle e tessuti che vende ai salottifici. Ne carpisce i segreti e apre un’azienda con soli due operai, in un minuscolo laboratorio. Un passo dopo l’altro crea un’industria moderna e internazionale che dà lavoro a più di quattrocento persone. Non si arrende al fatto che qualcuno gliel’abbia portata via.

Giovanni Longo, barese, quarantadue anni, è giornalista della «Gazzetta del Mezzogiorno». Da anni segue la cronaca giudiziaria. E pensare che i palazzi di giustizia li ha frequentati da un’altra angolazione: esercitando la professione di avvocato a Bari e a Milano. Qui, in particolare, ha lavorato per importanti studi di consulenza tributaria. Portare alla luce storie come quella raccontata in questo libro non lo ha fatto pentire della sua scelta.
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