Il romanzo narra la vita di un uomo eccezionale e terribile: Tamerlano , il creatore di Samarcanda, il conquistatore del mondo.
Tamerlano fu un emiro di stirpe turca, ma imparentato e in qualche modo erede e successore dei conquistatori mongoli che, calando nel primo Duecento con Gengis Kahn dall’Asia centrale in quella Anteriore, devastarono e terrorizzarono il mondo musulmano. Fattisi poi musulmani essi stessi, fondarono in Persia ed Iràq dinastie di sultani, mentre a Oriente, col gran Qubilai, estero il loro impero sulla Cina.
Su questi precedenti si intessé l’avventura di Tamerlano che abbraccia tutta la seconda metà del Trecento: dalla nativa Transoxiana (quello che oggi è l’Uzbekistan sovietico, l’onda di questo turco-mongolo conquistatore dilagò per l’Asia, a Oriente verso la Cina. a Occidente verso il Mediterraneo.
Ciò che di essa più colpì i contemporanei e i posteri fu la sua rapida violenza, e le immani stragi che l’accompagnarono: da Samarcanda a Damasco, la conquista di Tamerlano si fondò su fiumi di sangue e, letteralmente, su torri o piramidi di teste umane troncate.
Tale fu la sua violenza, da arrestare per un momento il corso d’un’altra più durevole avventura di conquista, quella dei Turchi Ottomani, quando nel 1402 la barraglia ad Ankara mise a fronte Tamerlano e il sultano ottomano Bayazid , soprannominato “la folgore”, che vinto e preso prigioniero finì di lì a poco i suoi giorni in una gabbia di ferro.
Tamerlano morì nel 1405 mentre preparava una spedizione contro la Cina. Egli fu certo un flagellum Dei nelle sue sterminatrici conquiste; ma allo spirito di cruenta violenza si unì in quel barbaro un singolare amore e desiderio dell’arte. Ovunque arrivava il suo dominio era sua cura raccogliere e deportare verso Samarcanda architetti, decoratori, miniatori artisti, per abbellirla e dotarla di tesori più durevoli dei massacri che la conquista costava.