Due amiche, due che si parlano "da una vita". Di tutto, di tutti. Due ragazze-per-sempre, che a cinquant'anni chiacchierano fino a notte in macchina: con i piedi nudi sul cruscotto e la sigaretta in bocca. Quasi due sorelle. Una si ammala, muore. L'altra l'accompagna alla soglia. E resta, di qua dal muro. Ma decide di non smettere di parlare, forse da sola, forse con lei: perché gliel'ha promesso: "Troverò il modo", le ha detto prima di lasciarla andare. Questa è la storia di chi scrive. Cucita, con il dolore della prima persona, ad altre storie. Quelle di donne - forti, lucide, disperatamente tenaci - che cercano, seguono, evocano le tracce di chi non c'è più. Osano avvicinarsi al limite che separa i vivi dai morti, per trovare il luogo di un incontro possibile ("Ho cominciato a credere che potesse esserci una porta fra me e mio figlio" dice una di loro "e che quella porta era stata aperta"). Sono donne, però, che non raccontano la morte, ma la sopravvivenza dell'amore. C'è la storia di Gemma, che ritrova la voce del figlio perduto, dopo mesi passati a gridare il suo nome a un vecchio registratore. E c'è quella di Edda, che nella voce del figlio inciampa, perché è lui a continuare a chiamarla, è lui che vuole dirle dov'è. C'è Carla, che ha perso una figlia nel terremoto dell'Aquila, e che afferma di credere nell'incredibile per non perdere il contatto con la realtà. C'è Marta, che riceve ogni anno una rosa dal figlio che non c'è più ma che non ha mai smesso di sentire accanto a sé ("Una madre sa sempre dov'è suo figlio. E lui è qui"), e che le racconta, a suo modo, l'esistenza di un aldilà così umano da sembrare terreno, e dunque comprensibile, vicino e bellissimo. C'è Maria Letizia, che ha chiesto alla figlia le prove della sua esistenza (là dove è ora) per non morire con lei. C'è la donna che un figlio, quel figlio, non ha voluto metterlo al mondo, ma non ha mai smesso di cercarlo, e lo ritrova in un piccolo paradiso, o forse soltanto dentro di sé. C'è Monica, che ha imparato dal figlio di 4 anni a piegare la testa, a inginocchiarsi davanti alla morte. L'ha aspettata, in silenzio, poi le ha chiesto, in cambio, parole, segni, simboli. Qualunque cosa: pur di rimanere insieme al suo bambino. E c'è Annamaria, che dal figlio perduto ha avuto la notizia del figlio in arrivo. E che oggi è una mamma felice, ma non dimentica il bambino che ha perso. Quel bambino che, per certi medici, era "soltanto una bambola di pezza". Un libro di grande impatto emotivo, sull'amore che non sa e non vuole arrendersi. Le nove storie - più una, quella di chi scrive - raccontano di donne che hanno imparato che può essere la morte a consolare la vita. In comune non c'è il dolore, ma il bisogno di metabolizzarlo in parole. Per continuare a dire a chi non c'è più: io ti parlo da una vita. Da sempre, da qui.