C'è un fi lo conduttore che lega tutte le opere di Aldo Nove, una spiritualità costante e mutevole: la preghiera, a volte sussurrata, a volte atrocemente urlata, che tutto non sia soltanto evidenza e realtà, che ci sia qualcosa, qualcosa di profondo, che ci unisce tutti, nei secoli, per sempre. C'è Woobinda, il tragico Woobinda, e c'è Un bambino piangeva, il lieve e malinconico.
Antonello, piccolo Aldo Nove, passa le estati su un'isola magica, lunghe estati da sogno; perché quell'isola, la Sardegna, lontana e arcaica, magica lo è per davvero. Qui nessuno muore in via defi nitiva e il passato, se si hanno occhi abbastanza attenti per vederlo, fa capolino nel presente. Sull'isola è vissuto anche il piccolo Saltaro, figlio di una stirpe antica, che ha abitato la Sardegna prima dell'arrivo dei Fenici, violenti e ciechi come tutti i colonizzatori. È la paura del presente ad accomunare il piccolo Antonello e Saltaro, in un girotondo a occhi chiusi, mentre le vicende del mondo scorrono inesorabili per entrambi. Ad accompagnare Antonello ci saranno le presenze rassicuranti di nonno Giuseppino e di Giò, numi tutelari perennemente in contatto con la spiritualità che pervade l'isola. Antonello, grazie a loro, sentirà il richiamo di Saltaro e, inconsapevole, percorrerà il lungo pellegrinaggio dalla piccola Viggiù fi no al cuore misterioso della Sardegna. Il viaggio, come di frequente accade, sarà l'occasione per affrontare molte paure, sconfi ggere incertezze e ritrovare ciò che pareva perduto.
Un' opera fortemente autobiografica, in cui Aldo Nove compie un'ulteriore, certamente non ultima, mutazione: un addio al rimpianto e un giocoso benvenuto al mondo.