"La "mia" Shoah, quella di molti ebrei italiani, è mia madre ragazzina che non trova il suo nome nel tabellone dei voti a scuola, perché gli ebrei sono a parte. Che non può ricevere un otto, perché i voti degli ebrei non possono superare quelli degli "ariani". È mio padre, che fino alla morte conserva il telegramma dell'amico Bruno, che gli dice di usare la sua casa, in caso di bisogno. La mia Shoah sono bambine che spariscono da scuola per sette anni e quando tornano nessuno gli chiede dove sono state. Prima delle leggi razziali, prima della Vergogna, mia madre, mio padre, i nonni, gli zii, i cugini, erano normali cittadini italiani. Finché non divennero "di razza ebraica", e persero il lavoro, la dignità, la sicurezza, e infine rischiarono anche la vita: la scelta fu scappare, oppure morire. Qualcuno fu deportato. Qualcuno non tornò. Poi, mio padre e mia madre si conobbero in un campeggio ebraico, nel dopoguerra, e riconquistarono la "normalità". Grazie a loro sono qui. A raccontare. Di loro e degli altri." Manuela Dviri è una figlia che riscopre un po' alla volta un grande mosaico famigliare, ed è una madre che perde in guerra l'amato figlio ventenne e trova nel suo ricordo la forza di rinascere e di battersi perché ad altre madri sia risparmiata l'orribile sofferenza. Tra l'Israele di oggi e l'Italia di ieri risale i rivoli che si ricongiungono nel vasto fiume di una grande famiglia ebraica, sapendo che il suo viaggio incrocerà gli anni dorati prima della guerra, tra profumi di cibi, feste religiose, allegri matrimoni, riunioni di famiglia e vacanze al mare ma anche gli anni bui, tragici e dolenti della persecuzione. Una grande saga di ebrei italiani prima della Shoah, una storia che il male non è riuscito a cancellare, nel suo folle tentativo di "scrivere" un mondo senza loro, senza gli ebrei. Ma non c'è un loro e un noi, e un mondo senza loro sarebbe un mondo senza noi. Senza tutti noi.