Nel dicembre del 1963 Max Mannheimer deve essere operato alla mascella. L’assistente del medico dimentica per diversi giorni di consegnargli il risultato degli esami e Max si convince di essere condannato. Si rende conto di non avere mai parlato alla figlia delle sue esperienze nei campi di concentramento, «per difendere lei e me stesso». Decide quindi di scrivere le sue memorie. In pochi giorni butta giù il testo, lavorando come un pazzo anche di notte, con la paura di morire prima di terminare il lavoro. Un mese dopo le dimissioni dall’ospedale, consegna alla figlia le pagine, dicendole che dovrà leggerle solo dopo la sua morte.Questo libro, scritto con il piglio di un diario, racconta di un padre ballerino e di una madre colta, l’ascesa del nazismo, lo spirito dei vent’anni e l’amore che rendono fiduciosi anche davanti alle deportazioni, alla crudeltà della vita del campo. L’umanità si corrompe, ma non viene meno, tenuta in vita dalla coscienza di essere uomini. Instancabile, continua a portare le sue memorie nelle scuole: «Il mio corpo è debole, ma i dettagli di quel tempo spaventoso sono incisi nella mia anima». E ai giovani che lo ascoltano ricorda sempre: «Voi non siete responsabili di quello che è successo, ma è compito vostro che non si ripeta mai più».La traduzione è affidata a Claudio Cumani, laureato in fisica all’Università di Trieste e lavora in Germania, all’ESO (European Southern Observatory), l’organizzazione astronomica europea con sede a Garching bei München e i telescopi sulle Ande cilene. Si occupa di politiche per l’integrazione dei migranti e di comunicazione interculturale.