IL 15 LUGLIO 2008, Karl Unterkircher, alpinista di fama mondiale, muore
inghiottito da un crepaccio sul Nanga Parbat, la nona vetta del mondo,
ribattezzata dalla popolazione locale “la mangiauomini” a causa delle
molte vittime che ha fatto tra gli scalatori professionisti (tra loro, il fratello
di Reinhold Messner).
Dopo aver conquistato il record del mondo per aver raggiunto l’Everest,
la cima più alta tra gli “Ottomila”, e il K2 in soli 63 giorni, Karl Unterkircher
sfida alcune tra le pareti più temibili: la parete Nord del Gasherbrum II,
considerato uno dei tabù dell’Himalaya, il meditativo Monte Genyen e lo
Jasemba, tra le cime più belle e difficili da scalare.
In queste pagine appassionate dedicate al padre dei suoi tre figli, Silke
Unterkircher ripercorre le eccezionali avventure di un uomo che ha sempre
voluto mettersi alla prova. Seguendo il filo dei suoi ricordi e le suggestioni
dei compagni di avventura di Karl — Hans Kammerlander, Michele
Compagnoni, Walter Nones e Simon Kehrer — ci restituisce il ritratto di
un uomo legato indissolubilmente a quel mondo estremo che amava forse
più della sua stessa vita, e ci aiuta a capire che spesso dietro scelte
così rischiose non si nasconde un desiderio di affermazione, ma un sentimento
del tutto estraneo a chi non conosce la magia dell’esplorazione.
Perché, come diceva Karl, non sono gli scalatori a cercare il rischio: è la
montagna che chiama.