Nella vita frenetica dei nostri giorni si tende sempre più in ambito giuridico a provare qualcosa di nuovo e cercare l’ultima novità, ritendo il vecchio, qualcosa di superato ed inutile, ciò nonostante, se si fa bene caso, l’impianto del nostro codice civile non è poi così difforme dalle regole che furono ideate e applicate già dagli antichi romani. Fino agli anni ottanta del secolo scorso, l’interpretazione giurisprudenziale e dottrinale procedeva lentamente, prevalentemente non distaccandosi troppo dall’indirizzo maggioritario che regolava una determinata materia e, se da una parte forse non era al passo coi tempi, quantomeno consentiva di avere una maggiore certezza del diritto. I giudici di merito, poi, avevano maggiore rispetto delle decisioni emesse dalla Suprema Corte che, essendo meno impegnata rispetto ai giorni nostri, aveva anche più tempo a disposizione per ponderare l’effetto delle sentenze di legittimità nei confronti del sistema giuridico nazionale. Va detto tuttavia che l’impianto giuridico di trent’anni fa era meno complesso di quell’attuale, perché meno influenzato dalla legislazione comunitaria e dalle leggi speciali.
Va puntualizzato altresì che, se in passato poteva essere di ostacolo la lentezza dell’evoluzione giurisprudenziale (spesso in ritardo nel regolare le novità apportate dalla rivoluzione tecnologica ed informatica), oggi l’eccessivo dinamismo, porta a un proliferare di sentenze molte volte in contrasto tra loro o, quel che peggio, emesse senza tenere conto dell’indirizzo delle decisioni di grado superiore (per la verità anch’esso già di per sé ondivago). L’uso degli strumenti informatici e delle prime banche dati giurisprudenziali strutturate su basi digitali (che si è cominciato ad applicare dai primi anni ottanta), ha influito sulle sentenze attuali, che usualmente si basano su decisioni successive a tale periodo (in quanto le pregresse, si trovano oramai solo nei massimari cartacei o nelle monografie che non vengono più consultate per mancanza di tempo). Questo libro (che è poi la mia tesi di laurea in giurisprudenza), si propone quindi di colmare tale lacuna e di fornire apporti giurisprudenziali del passato, agli organi giudicanti, di sicuro valore ed utilità. L’opera riporta infatti le principali sentenze emesse in materia di esercizio delle attività pericolose, inerenti l’applicazione dell’art. 2050 introdotto con il codice civile del 1942, dalle origini, sino all’avvento del sistema informatico. Nello specifico, l’importanza dello studio di questo istituto è fondamentale, in quanto permette, mediante una interpretazione elastica, di poter regolare tutte le fattispecie attinenti l’esercizio di attività pericolose che non siano ancora ordinate da leggi speciali. Della duttilità di tale strumento ne è prova l’utilizzo fatto dalla giurisprudenza di merito, per regolare la materia della protezione dei dati personali, considerata di recente un’attività pericolosa, prima che fosse oggetto di regolamentazione da una legge speciale. Sul piano dottrinario, invece, la tesi cerca di spiegare e confrontare le due principali teorizzazioni che regolano il sistema della responsabilità civile, ovvero quella della responsabilità oggettiva, proposta dal Trimarchi e quella basata sull’immissione del pericolo suggerita dal Comporti, nonché il parziale superamento delle stesse, attraverso il suggerimento della “canalizzazione del rischio”, in particolare in materia ambientale. Quest’ultima teoria cerca di interpretare l’art. 2050 c.c., come norma quadro atta ad identificare il soggetto ultimo che risponde degli eventuali danni causati dalle attività pericolose, al fine di poter risarcire quelle lesioni giuridiche per le quali è difficile quantificare o identificare i singoli apporti alla creazione del rischio. L’esposizione di tale teoria è finalizzata alla tutela dei consumatori e dei soggetti deboli, per cercare un unico referente in grado di rispondere civilmente ed assicurarsi.