Il sempre più frequente richiamo, ad opera tanto delle parti sociali quanto delle sfere politiche, alla necessità di una maggiore collaborazione tra capitale e lavoro, in un momento di drammatica crisi (non solo) economica, ha dato occasione all’Autore di affrontare il delicato tema della partecipazione dei lavoratori in Italia. Trattandosi di un concetto dai contorni in sé oltremodo ampi, se non indefiniti, l’Autore ha ritenuto di operare innanzitutto una ricognizione delle esperienze di partecipazione – del passato e del presente – ritenute più significative, procedendo in via diacronica verso l’individuazione di un possibile significato (o, forse, di un “sembiante”) che potesse risultare coerente con gli scopi “originari” dello strumento in parola. Il punto di partenza dell’analisi è stato il sistema di relazioni industriali tedesco, universalmente riconosciuto come il “benchmark model” di ogni esperienza – lato sensu – partecipativa: l’interesse per tale modello non ha coinvolto solo gli aspetti legati al suo concreto funzionamento, ma l’attenzione si è focalizzata sulle finalità e, ancor più, sui valori alla sua base, ritenuti aspetti dirimenti – anche – in una prospettiva di “trapianto” dello stesso o di sue parti in un altro sistema. Ed infatti, a conferma delle difficoltà di esportare e, prima ancora, di imporre meccanismi partecipativi, l’Autore ha poi dato conto della discussione sulla tematica in parola in ambito europeo, passata dagli iniziali progetti di armonizzazione di un modello di partecipazione “forte” al raggiungimento di un compromesso, in primis politico, verso forme di coinvolgimento dei lavoratori nelle scelte dell’impresa assai meno invasive delle prerogative imprenditoriali. I risultati della ricerca, individuando la caratteristica essenziale di un modello partecipativo nell’ambizione di generare un’evoluzione da un “diritto societario” a un “diritto dell’impresa” (“vom Gesellschafts- zum Unternehmensrecht”, dalla Prefazione di Achim Seifert), lasciano trapelare un certo pessimismo rispetto al passaggio ad una simile prospettiva in ambito nazionale, in assenza di cambiamenti “strutturali” nei rapporti tra lavoro e capitale, non ultimo sotto l’aspetto “culturale”.