Nell’antica Roma il marito, sollevando da terra il nato in presenza di testimoni, lo riconosceva come proprio. Il gesto risolveva l’impossibilità di stabilire con certezza chi fosse il padre biologico, un’incertezza protrattasi fino al Novecento. Il riconoscimento giuridico di un nato come figlio del padre era dunque affidato al diritto, in riferimento alla volontà implicita o esplicita dell’uomo di essere tale. Le cose cambiano radicalmente nel XX secolo con l’irrompere della scienza sulla scena: prima le analisi del sangue e poi il DNA permettono di stabilire con crescente certezza l’identità del padre. Anche questa fase, però, parrebbe oggi superata: le tecniche di fecondazione eterologa, infatti, costringono ad avviarsi verso una nozione di paternità che prescinda dal mero dato biologico, ponendo l’enfasi sul ruolo. Con un paradossale ritorno all’antico, si riattribuisce al diritto, sia pure su basi nuove, il compito di individuare il padre. Tra scienza, prassi sociale e vicende giuridiche, Giulia Galeotti indaga l’evoluzione di un concetto delicato e multiforme, gravido di conseguenze (anche simboliche) sull’impianto stesso della società.