Nella prima edizione del 1989 di questo libro avevo una certa idea della giustizia, dei suoi operatori e dei cittadini che erano al tempo stesso attori e convenuti.
Ora che siamo nel 2013, a 24 anni da allora, mi chiedo cosa è cambiato nella giustizia italiana e se essa sia stata capace di superare il più grande dei suoi ostacoli, agli occhi dell’opinione pubblica, ovvero se si sono accorciati i tempi tecnici per trasformare l’avvio di un procedimento in una sentenza da passare in giudicato. Purtroppo la risposta è negativa. Se considero le obiettive difficoltà degli uffici giudiziari dove manca persino la carta per fare le fotocopie, dove cancellieri e magistrati sono alle prese con mille difficoltà di ordine logistico e funzionale, mi chiedo se non vi sia stato persino un arretramento dalle posizioni già difficili di allora.
Proprio per questo motivo ho ripreso l’argomento di allora come se, nel frattempo, il tempo si fosse fermato.
Il dramma dell’Italia sta proprio qui. Noi parliamo, organizziamo convegni, predisponiamo studi di fattibilità per ogni cosa, compresa la giustizia, ovviamente, ma ben poco facciamo per scuoterci di dosso il pesante fardello di una mentalità burocratica di tipo borbonico. Non cambio nemmeno il metodo di presentazione delle questioni inerenti alla giustizia così come l’avevo concepito quattro lustri fa. Allora avevo deciso di raccogliere i miei appunti sull’argo-mento, che mi accingevo a sviluppare, affrontando il tema in modo vario e senza lasciarmi prendere, più del solito, dalla voglia di presentarlo secondo i consueti crismi del dettato “accademico”. Questo impianto l’ho lasciato intatto.