Dalla prima edizione di quest’opera ad oggi non vi è stata alcuna particolare disposizione di legge che abbia interessato la Cassazione. Eppure, forse mai come in questo caso, c’è stato bisogno di una nuova edizione di un lavoro. Ciò non solo per il fiorire di nuovi studi sul nostro supremo organo di giustizia, molti dei quali opera di giovani, ma anche e soprattutto per l’incessante attività della giurisprudenza che fa emergere sempre nuove sfaccettature della materia, delle quali bisogna tenere conto.
Penso per un momento al requisito di “autosufficienza” del ricorso, una volta contenuto entro schemi e formule rigide, poi ridimensionato nell’interpretazione della stessa Corte, che pur salvando il principio (e come si potrebbe fare altrimenti, quantomeno se si pensa alla mole di lavoro del nostro supremo organo di giustizia), ne ha sensibilmente ammorbidito i tratti e le sue applicazioni ed infine ritornato all’originario rigore.
Notevoli variazioni interpretative sono avvenute anche per il filtro di cui all’art. 360-bis c.p.c., che oggi non ci appare più come sterile strumento volto a cestinare le iniziative dei ricorrenti, ma sempre più assume i tratti di una concreta costruzione destinata ad eliminare il contenzioso inutile (tanto frequente quanto inaccettabile) dei ricorsi presentati al solo scopo di allungare i tempi della controversia, senza alcuna prospettiva di successo o al fine di tentare di togliere di mezzo decisioni il cui contenuto non è così pravo come il ricorrente vorrebbe fare credere.
Contenzioso inutile e dannoso, che trova nel procedimento di cassazione lo strumento più fertile per rallentare i tempi della giustizia e che la Suprema Corte deve necessariamente arginare.
Non è detto che debbano essere riservate alla Cassazione solo le cause “importanti” come qualcuno vorrebbe, ma le cause “serie”, quelle che hanno un preciso fondamento e che sono le uniche degne di essere esaminate. Come diceva Carnelutti (Vita di avvocato. Mio fratello Daniele. In difesa di uno sconosciuto, riediz., Milano, 2006, p. 14), non si tratta di punire gli avvocati che “usano” la parola, ma quelli che ne “abusano”.
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Ma come dicevo all’inizio, l’esigenza di una nuova edizione è sorta soprattutto per le necessità di dare conto dell’incessante numero di pronunzie della Suprema Corte che si avvicendano di continuo e che impongono di ampliare alcune delle tematiche svolte o di rivederne altre. Del resto è così che si costruisce e si solidifica un libro. Un libro deve certo rispecchiare il costrutto e l’importanza che gli ha impresso l’autore, ma specie se è un libro di diritto deve essere continuamente aperto alle ulteriori soluzioni che vengono propose dal fermento della scienza.
Ma v’è anche un’altra ragione per ritornare sopra un’opera già redatta e diffusa. Ed è quella di riesaminarla da cima a fondo, per vedere se le fondamenta reggono e se il lavoro possa conservare un valore per il futuro.
Sommessamente mi pare di potere dire che la risposta a questo secondo quesito, possa essere positiva.
Resta quindi la necessità di soddisfare la prima esigenza, che è quella dell’aggiornamento continuo, costante e proficuo.
Gian Franco Ricci
Maggio 2016