Partendo dalla cronaca è possibile individuare tutta una serie di pregiudizi contro il capitale che li produce, il politically correct che li giustifica, e i danni che essi procurano. Paradossi, assurdità, errori plateali hanno origine dal dirigismo dell'amministrazione, dal corporativismo dei cittadini, dall'accettazione dello statalismo come dato imprescindibile della nostra società. Sono questi i veri "peccati capitali". I peccati capitali possono essere contro il capitale o del capitale: in questa ambiguità consiste il (facile) gioco di parole. Peccati piccoli, ma non piccoli peccati. Piccoli se paragonati sia a quelli compiuti nella grande battaglia ideologica del secolo scorso contro il capitalismo, sia a quelli commessi da coloro che si proclamavano, e ancor oggi si proclamano, interpreti di un'evoluzione del capitalismo, senza accorgersi che quella è la "strada della schiavitù".
Anche con il Governo Monti le cose non sono poi molto diverse: non si avverte nelle visioni, nei giudizi, negli obiettivi quella discontinuità che il governo dei tecnici avrebbe dovuto segnare. E rimane un dubbio: se, e in che direzione, questa discontinuità possa essere l'esito delle elezioni del nuovo Parlamento e poi del nuovo Capo dello Stato. Se gli episodi da cui muovono le riflessioni sono effimeri, nascono e si dimenticano come le pagine dei giornali da cui sono tratti, le loro cause materiali e ideologiche esibiscono una straordinaria vitalità. La "morale" di queste pagine rimane attuale al mutare delle circostanze.