Al centro di questo libro di Gillo Dorfles è il concetto di intervallo e della sua perdita, inteso come pausa all’interno di un’opera o lungo lo sviluppo di un’azione, ma, anche, come l’interruzione che separa un’opera o una qualsiasi operazione creativa dal suo contesto. Questo modo di interrompere l’ascolto o la lettura o la fruizione è andato perduto nella nostra epoca, nell’esistenza quotidiana oltre che nell’arte, dominate come sono da un veloce succedersi e sovrapporsi di eventi senza sospensione alcuna e senza nessun tempo o spazio di ricambio. Il riverbero di questa assenza in campo artistico ha dato luogo a fenomeni negativi e positivi insieme: in seguito alla compromissione dell’elemento intervallare sono sorte forme artistiche quali l’arte informale, la musica dodecafonica, il monologo joyciano, mentre altre forme già presaghe di una evoluzione futura, mirano al recupero dell’intervallo, come certa musica postweberniana, certe forme d’arte visiva o teatrale.
Gillo Dorfles, critico d’arte e professore universitario di estetica, a partire dall’immediato dopoguerra si è impegnato in un’appassionata difesa dell’arte d’avanguardia, imponendosi in Europa e nelle Americhe come una delle personalità più attente agli sviluppi dell’arte e dell’estetica contemporanee. Tra le sue opere più note, tradotte in molte lingue, ricordiamo: Simbolo comunicazione consumo (1962), Nuovi riti, nuovi miti (1965), Il Kitsch (1968), Le oscillazioni del gusto (1970), Introduzione al disegno industriale (1972), Dal significato alle scelte (1973), Mode & Modi (1979), Elogio della disarmonia (1986), L’intervallo perduto (1988), Il feticcio quotidiano (1990), Preferenze critiche (1993), Fatti e fattoidi (1997), Conformisti (1997), Scritti di architettura (2000), Simulacri e luoghi comuni (2002).