Non è facile oggi proporre un testo di istituzioni di diritto pubblico per l’università in una facoltà non giuridica.
È difficile trovare un equilibrio tra il ‘livello universitario’ – necessariamente diverso ad esempio da quello di riferimento per i testi in uso nel biennio della secondaria superiore – e l’esigenza di proporre un libro effettivamente fruibile da studenti di oggi che non studiano sistematicamente il diritto e oltretutto, come spesso accade, hanno pochi crediti legati al diritto pubblico.
Questo libro di Alberto Fossati si caratterizza, ad un primo esame, per la brevità e la semplicità delle strutture linguistiche e delle definizioni fermo restando il rispetto del tecnicismo nella misura indispensabile.
Opportunamente, non solo non si danno per scontate le nozioni giuridiche anche più elementari ma anche alcuni concetti storico-politici chiave sono spiegati (ad esempio il concetto di sovranità o quello di nazione).
Quanto ai contenuti, l’autore ha fatto una scelta netta: rinunciare alla completezza alla quale tuttora ambiscono alcuni manuali universitari (che anche perciò superano spesso le quattrocento pagine divenendo anche per questo ‘oggetti’ poco gestibili da parte di uno studente di oggi, specie se si tratta di uno studente di facoltà non giuridica che studia ‘per’ pochi crediti).
Il libro è un susseguirsi di concetti e fenomeni chiave: democrazia, principio personalista, principio pluralista ecc. Lo studente è invitato a soffermarsi su ognuno di essi, riflettere, farne propria l’essenza e poi proseguire secondo un percorso – e questo è uno dei meriti maggiori del libro – che appare lineare, consequenziale.
Non sono trascurati i concetti più recenti: si pensi ad esempio alla sussidiarietà.
Nella struttura si nota la scelta dell’autore per la proposta prima dei principi e dei diritti dell’uomo e poi dell’apparato pubblico che risulta anche perciò subito consegnato alla sua natura servente rispetto alla comunità. Trasparente l’adesione dell’autore al modo in cui tradizionalmente la cultura cattolica ha concepito il potere pubblico.
Sul piano del retroterra valoriale colpisce poi, specie in un contesto come l’attuale, l’adesione convinta dell’autore all’idea che la nostra Costituzione sia stata e sia tuttora un testo di straordinario valore. In un tempo come questo nel quale non di rado la Costituzione del 1947 è sbrigativamente giudicata ‘vecchia’ se non addirittura geneticamente segnata da un’ipoteca ‘cattocomunista’ questo libro nella sua semplicità propone invece il disegno costituzionale del potere come un disegno limpido, intrinsecamente coerente e in linea con le idee migliori scaturite da quel crogiuolo di assoluta ferocia e di intelligente speranza che è stata la storia europea degli ultimi secoli.
Di una cosa si avverte la mancanza leggendo il libro: di discussioni. La coerenza del testo si spinge fina al punto da far apparire, per lo meno agli occhi di un lettore ingenuo quale spesso lo studente è, ogni soluzione come necessaria, senza alternative e senza interne tensioni. Ovviamente non è così. Che si discuta di sovranità o di eguaglianza, di cittadinanza o di divisione dei poteri si evocano, insieme, valori e oggetti di discussione anche drammatica: il diritto pubblico non è materia ‘tranquilla’.
Peraltro questo limite del testo è, anzitutto, intrinseco alla scelta per l’estrema brevità. E poi forse è frutto di un’intuizione profonda, di un’idea antica che oggi stiamo rivalutando: che nozioni e concetti di base ben possono essere studiati leggendo un libro ma le discussioni non vanno lette, vanno invece ascoltate e [...]