Fatta eccezione per il viaggio giovanile a Roma, che lo portò a lavorare nientemeno che nella Cappella Sistina, non ci furono spostamenti nella vita di Piero di Cosimo; almeno così pare. Un pittore stretto alla sua bottega, nella quale però passò una buona parte della cultura fiorentina del suo tempo e che lì trovò degno ritratto in dipinti spesso enigmatici, pieni di simboli e figure allegoriche. Il sapere classico, che in quel tempo trovava nuova vita grazie agli intensi studi umanistici che erano alla base del Rinascimento, veniva espresso nel vocabolo della figura, anch'esso lanciato verso altezze inimmaginate fino ad allora, con una personale interpretazione destinata ad un pubblico colto, forse non numeroso. Piero aveva uno stile capiente, in grado di contenere il bello e il brutto delle creature, capace di ritrarle senza la tara inutile e parziale del giudizio, con occhio libero e pennello disincantato. Si commuoveva davanti all'importanza del minuscolo, sorrideva alla delicatezza di una smorfia; si innamorava di ogni cosa. Ebbe uno stile a volte aggraziato ed altre volte popolare, gentile e burbero; insomma dipinse come voleva, in tutti i modi.