Come si sa, dopo la metà del 900, in Italia si è verificato un massiccio transfert linguistico dalla parlata locale a quella ufficiale. In questa situazione si trova Tino Faussone, il protagonista de La chiave a stella, un operaio specializzato che si reca in vari paesi per montare gru, ponti e strutture metalliche per impianti petroliferi. Raccontando le sue imprese in italiano Tino, che è solito parlare piemontese, usa una lingua piuttosto strana e le sue storie sono allegre e soffuse di ironia.
Il libro è molto piacevole e, osservando la parlata del protagonista, si possono rintracciare tutti quei fenomeni quali prestiti, calchi semantici, interferenze e altri, comuni nelle situazioni di bilinguismo e di lingue in contatto. Con quest'opera Primo Levi ci ha lasciato un bell'esempio del cambio linguistico in atto, ma anche una chiara testimonianza dell'amore per il suo dialetto: "Amo questo dialetto...è il mio, quello della mia infanzia, che mio padre usava con mia madre e mia madre con i bottegai" (La Stampa, 13 luglio 1986).