La responsabilit da reato degli enti, introdotta allŐinizio degli anni Duemila, rappresenta una novit rivoluzionaria per lŐordinamento giuridico italiano, capace Đ almeno sulla carta Đ di conferire maggior vigore ed efficacia alla prevenzione e alla punizione della criminalit dellŐimpresa lecita, attraverso la partecipazione alla vicenda sanzionatoria di quello che spesso risulta essere il centro propulsivo dellŐagire
criminoso, vale a dire lo stesso ambiente organizzativo imprenditoriale. Se lŐavvento, con il d.lgs. 231/2001, della corresponsabilizzazione delle societ
per gli illeciti penali commessi dai propri esponenti ha suscitato ampi consensi, tuttavia la disciplina ha rivelato insidie e lacune. Su tutti, profilo affrontato in questo volume, lŐevidente adozione di una visione superata dellŐimpresa, concepita come monade isolata, legata al solo territorio italiano e ancorata al vecchio modello della fabbrica fordista. Uno stereotipo che mal si adatta alla realt societaria odierna, in continua e frenetica evoluzione. Risultano fuori dalla normativa in particolare i ŇgruppiÓ, o comunque la loro caratteristica modalit di espressione: la direzione unitaria: in specie, a seguito della riforma del diritto societario del 2003, lŐattivit di direzione e coordinamento. Il lavoro tenta, attraverso la ricostruzione dei criteri ascrittivi della responsabilit allŐente, di verificare se il silenzio del d. lgs. 231/2001 sui ŇgruppiÓ possa essere colmato da unŐinterpretazione estensiva delle sue norme, o se il testo abbisogni invece di un intervento modificativo del legislatore. Sono analizzati i primi percorsi giurisprudenziali al riguardo, non di rado discutibili, e le prassi sinora seguite nelle maggiori realt imprenditoriali italiane. Di ausilio allŐindagine la testimonianza dellŐesperienza nordamericana, pi risalente di quella italiana nonch evidente fonte di ispirazione per il legislatore del 2000.