Le pensioni rappresentano una materia apparentemente complessa ma, nella realtà, affascinante perché consente non solo di prendere coscienza dei diritti di ciascuno di noi ad una vecchiaia sicura e dignitosa, ma di intravedere anche una prospettiva di solidarietà tra le generazioni. A condizione però che ogni generazione non pensi – come spesso avviene – solo ai propri interessi, ma sappia pensare agli altri e al futuro; anzi agli altri nel futuro.
Con i più recenti interventi normativi in tema di previdenza, abbiamo ormai raggiunto e superato il 20° anno di riforme, a volte parziali, a volte più strutturali.
La materia di che trattasi è ampiamente (forse anche eccessivamente) stratificata, con tutte le conseguenze del caso, risentendo di scelte legislative quasi sempre poco organiche, per lo più dettate da chiare ed evidenti scelte politiche contingenti, diversamente da un vero e proprio approccio organico.
Il rapporto intercorrente tra lavoro e pensioni (e più in generale tra lavoro e modello di protezione sociale) è talmente evidente che non merita particolari considerazioni.
Nei Paesi sviluppati, ovunque il sistema pensionistico sia fondato sul criterio della ripartizione (quando gli attivi finanziano le pensioni in essere, confidando che ci saranno altri lavoratori che pagheranno, grazie ad un patto intergenerazionale garantito dallo Stato, le loro pensioni, quando verrà il loro turno) sono in atto ampi processi di crisi, dal momento che, in seguito ai trend demografici, il numero degli occupati diminuisce ed aumenta quello degli anziani, i quali, per altro, vivono più a lungo.
Anche in ragione della più volte manifestata (eccessiva) rigidità delle riforma del 2011, il Governo ha preso l’impegno di rivedere, compatibilmente con la risorse finanziarie disponibili ed i vincoli comunitari (il c.d. fiscal compact). Governo e Parti Sociali hanno così iniziato un confronto che ha consentito, per il momento, l’apertura di due “tavoli tecnici”: uno appunto sulla previdenza, l’altro sulle tematiche del lavoro.
Con riguardo al primo, sono già state ipotizzate possibili soluzioni, alcune delle quali attuabili sin dal 2017. Mantenere l’impianto della riforma Fornero, in virtù dell’impatto positivo della sostenibilità finanziaria del sistema pensionistico, apportando correttivi tesi ad introdurre una maggiore “flessibilità in uscita” per favorire la ripresa del mercato del lavoro e l’occupazione giovanile: sembrerebbe questa la strategia del Governo in materia previdenziale prevista nella legge di stabilità per il 2017.
E, nella medesima prospettiva, per una riduzione strutturale del costo del lavoro, rilanciare parallelamente i fondi pensione per favorirne la diffusione e coprire il gap previdenziale in aumento crescente per effetto dell’applicazione del metodo di calcolo contributivo.
Le ipotesi al vaglio del Governo:
l’APE, prestito previdenziale, con il possibile coinvolgimento del sistema bancario-assicurativo a costo zero e uno scarso impatto sulla finanza pubblica;
l’anticipo del pensionamento con una penalizzazione variabile in base agli anni di anticipo;
la proroga della opzione donna;
la revisione della disciplina del riscatto della laurea.
Congiuntamente alla flessibilità in uscita nel sistema obbligatorio, si interviene sui fondi pensione con la RITA, la rendita integrativa temporanea anticipata.
Il 28 settembre 2016, Governo, Cgil, Cisl e Uil, a seguito del confronto avviato il 24 maggio 2016, hanno sottoscritto un verbale nel quale sono stati sintetizzati gli elementi di fondo emersi nel corso di una discussione approfondita e circostanziata sulle problematiche aperte in campo previdenziale.
In particolare, al fine di favorire l’equità sociale, di aumentare la flessibilità delle scelte individuali, di eliminare gli ostacoli alla mobilità lavorativa e di sostenere i redditi da pensione più bassi, le Parti hanno concordato sull’obiettivo:
di adottare alcune delle misure elencate di seguito già a partire dalla pross