Il tema della tutela delle persone prive in tutto o in parte di autonomia è disciplinata dal 2004, dalla riforma dell’amministrazione di sostegno.
Promotori di tale riforma sono stati, in particolare, i soggetti che si occupavano “sul campo” di questa materia. Le loro istanze sono state recepite dal mondo degli studiosi e da quesi ultimi trasmesse ai politici deputati a tradurle in disposizioni di legge.
La riforma dell’amministrazione di sostegno è importante perché sposta il baricentro dell’attenzione della legge dal patrimonio all’individuo. La ragione dell’esistenza della normativa non consiste più nella tutela dei beni del soggetto debole, ma nella tutela dello stesso, in quanto persona.
Porre al centro la persona significa, in primo luogo rispettarla. Non relegarla, a causa della situazione, provvisoria o permanente, in cui si trova, ai margini del vivere civile, ma consentirle l’esplicazione di ogni sua potenzialità e considerarla fine ultimo e non oggetto della tutela.
Come è noto, la riforma non ha portato, come sarebbe stato conseguenziale, all’abolizione degli istituti dell’interdizione e dell’inabilitazione, ma ha condotto ad una compresenza delle varie figure nel nostro ordinamento, costringendo (come spesso avviene) la giurisprudenza, in assenza di precise disposizioni di legge, a disegnare, se non ritagliare, ambiti di differenziata applicazione.
Molto lavoro, in senso riformatore, resta ancora da fare.
Oltre a risolvere il problema dei rapporti tra l’amministrazione di sostegno e gli istituti che l’hanno preceduta (ed ora l’affiancano), è necessario procedere, per estendere il concetto di attenzione alla persona, intendendo per tali anche i congiunti del “soggetto debole”, ad una de-burocratizzazione dell’istituto della tutela, quanto meno nei casi in cui il tutelato non sia titolare di grossi patrimoni.